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Parashàt Behàr Sinày-Bechuqqotày

Ogni giovedì Zeraim propone un pensiero sulla parashà della settimana a cura del direttore dell’Area Cultura e Formazione rav Roberto Della Rocca. Troverete qui anche il testo della parashà (il brano della Torà che si legge ogni sabato), insieme a interessanti materiali di approfondimento.

In questa pagina troverai anche la rubrica a cura di Micol Nahon “Horìm Uvanìm”, “Genitori e figli”, dedicato proprio allo studio di genitori e figli sullo stesso brano: un video da ascoltare e un racconto da leggere arricchito di midrashìm, seguìto da alcune domande per discutere e riflettere insieme.

La pagina ospita anche due rubriche kids e alcune pagine scelte da “La mia Torah”, le parashòt spiegate ai ragazzi, a cura di Anna Coen e Mirna Dell’Ariccia.

Parashàt Behàr Sinày

“ …ma il settimo anno per la terra dovrà esserci una completa cessazione di lavoro ….” Lv. 25,4

La Torà non impartisce soltanto indicazioni precise volte alla salvaguardia della vita animale e vegetale, ma si preoccupa anche di stabilire delle regole per la conservazione del terreno, con l’istituzione della ” Shemitah “, l’anno Sabbatico, un sistema di leggi che vietano, tra le altre cose, la coltivazione della terra per un anno ogni sette.

Ogni sette anni anche la terra ha diritto al suo riposo. Non importa quali possano essere le condizioni economiche, ogni sette anni la Torà proibisce che nella Terra di Israele gli ebrei coltivino la terra e raccolgano la frutta degli alberi se fatto a scopo di lucro. Solo ciò che cresce spontaneamente può venire raccolto e consumato, senza essere venduto e commerciato.

La terra viene quindi concepita come un organismo vivente, avente lo stesso diritto al riposo che viene garantito alle persone con il giorno del Sabato. Ogni settimo anno la terra deve essere fatta riposare, cioè non deve venire nè arata nè seminata, e ciò che eventualmente dovesse germogliare in maniera spontanea andrà a beneficio delle categorie sociali più deboli ed esposte: vedove, orfani, poveri, stranieri.

Il tempo da consacrare e non da sfruttare, le risorse naturali da usare con moderazione e senso di responsabilità, e non da saccheggiare.

Parashàt Bechuqqotày

“Se seguirete le Mie leggi ed osserverete i Miei precetti e li eseguirete, Io manderò le piogge a voi necessarie a loro tempo, e la terra darà il suo prodotto e gli alberi dei campi daranno i loro frutti; la vostra trebbiatura durerà fino alla vendemmia, la vendemmia durerà fino alla semina e mangerete il vostro pane a sazietà e risiederete tranquilli nel vostro paese ed Io metterò pace nel vostro paese.” (Lv, 26;3-6).

 

La Torà da insiste sullo strettissimo legame tra l’uomo e la terra , e come i comportamenti dell’uomo possono influenzare anche la terra. Anche il continuare a possedere Éretz Israèl o esserne esiliati dipende dal comportamento del popolo. Se si viola il patto la terra «li rigetterà» (Lev. 18, 25), come ha fatto con i suoi primi abitanti.

La stretta interdipendenza tra lo sviluppo dell’ambiente e il comportamento umano, è una delle più evidenti conclusioni della storia di Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden: come conseguenza della loro disubbidienza la terra verrà maledetta con la perdita di fertilità e di bellezza. Un’altra conclusione che possiamo trarre dalla storia di Adamo è come la gravità dei problemi ambientali è inversamente proporzionale al livello di integrità etica dell’umanità.

E’ oltremodo significativo come la Torà, fin dal suo inizio, affermi quanto sia critica la responsabilità che l’essere umano ha nei confronti dell’intera creazione.

La Torà evidenzia fin dal principio il ruolo attivo dell’uomo –“E l’Eterno cessò da tutta la Sua opera che Egli stesso aveva creato per poi elaborarla/perché poi fosse elaborata” ( Genesi, 2;3 ) -, formato a immagine e somiglianza del Signore perché continuasse la Sua creazione. In contrasto con il paganesimo, l’ebraismo non ha mai visto l’uomo in balia degli elementi. La libertà e la dignità  dell’uomo sono infatti indissolubilmente legate alla sua  grande e grave responsabilità; non  venne posto nel giardino dell’Eden perché lo sfigurasse, ma “perché lo coltivasse e lo conservasse” (Genesi, 2;15):  per conservare e continuare l’opera del Creatore.  Questi due verbi indicano un doppio compito. Prima di tutto Adamo deve migliorare la creazione “coltivarla”, utilizzando a tale scopo ogni strumento che la sua intelligenza lo metterà in grado di inventare. Contemporaneamente a ciò Adamo deve ” conservarla “, evitare cioè che l’evoluzione tecnologica e l’aumento dei fabbisogni collettivi portino al deturpamento delle bellezze naturali o all’impoverimento irreversibile delle risorse terrestri.

Rav Dott. Roberto Della Rocca