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I quattro strati dell’ebraico contemporaneo

La lingua ebraica non è mai morta, nonostante sia accettato il racconto mitologico della sua rinascita avvenuta alla fine del XIX secolo grazie a Eliezer Ben Yehuda. Ben Yehuda, arrivato in Eretz Israel nel 1881, era fermamente convinto che la lingua ebraica dovesse essere parlata. Come lui, molti altri figli della Haskalah e ferventi sionisti parteciparono al progetto della rinascita dell’ebraico parlato quale veicolo identitario di un popolo che si riappropriava della propria terra.
Eppure l’ebraico non era mai stato abbandonato. Nel corso dei secoli furono scritti fiumi di parole in ebraico in testi non solo di natura religiosa. Vari sono gli esempi di scritti secolari presenti anche in Italia con Immanuel Romano (1261-1328) fino ad arrivare alla Triestina Rachele Morpurgo (1790–1871), prima donna che scrisse in ebraico.
La poesia secolare ebraica medievale si era sviluppata, ad esempio, in Spagna con l’intento di ricorrere esclusivamente all’ebraico biblico. Ricordiamo solo un paio di nomi: Shmuel Ha Naggid (993-1055) e Yehudah HaLevi (1075-1141).
L’uso dell’ebraico biblico fu un punto centrale anche per la Haskalah, l’illuminismo ebraico, corrente di pensiero nata a Berlino alla fine del XVIII secolo e poi spostatasi nell’Europa dell’Est. Questo solo per dimostrare che l’ebraico fu sempre praticato e scritto.

Quando poi gli ebrei arrivarono in terra di Israele e cominciarono ad avere la necessità di comunicare tra di loro, l’ebraico parlato divenne lo strumento indispensabile per tutti, sefarditi e ashkenaziti, cioè per tutti coloro che dovevano far crescere i propri figli in una terra dove finalmente la lingua nata lì si riappropriava del suo spazio storico.
Come scrisse lo scrittore Amos Oz in un suo saggio, l’ebraico era come la Bella Addormentata, svegliata dal bacio della sua riattivazione come lingua parlata. E riprese vita nelle parole di due giovani, lei sefardita e lui ashkenazita, per dirsi “ti amo”, ovvero per unirsi in Terra di Israele. Il legame tra il popolo di Israele e la sua terra è un legame eterno. Nella stessa lingua vi è una continuità temporale che la contraddistingue.
L’ebraico contemporaneo, infatti, è composto da quattro strati: il biblico, il mishnico, il medievale e infine lo strato composto dalle componenti europee e più moderne. Dal Tanach all’ebraico parlato oggi in tutta Israele c’è un filo conduttore.

Solo per dare un esempio: Usiamo ogni giorno la parola שמש (sole), che compare fin da Bereshit 15:12:

La stessa parola, sole, nell’ebraico mishnico veniva indicata come חמה (calda), tuttavia il Comitato della Lingua, fondato nel 1890 dallo stesso Ben Yehuda e diventato Accademia della Lingua nel 1953 ha preferito mantenere שמש per non confondere l’aggettivo femminile “calda” ( חמה ) con il sole, appunto. Possiamo affermare che la trama complessiva dell’ebraico contemporaneo è costituita dalla lingua tanachica arricchita da elementi mishnici, medievali, stranieri, inseritisi nel corso dei secoli e che formano una lingua straordinariamente ricca e soprattutto fondamento dell’identità ebraica di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

La conoscenza della lingua è elemento indispensabile per abbracciare tutta la storia, la sapienza e la creatività ebraica ed è proprio attraverso la conoscenza e la trasmissione della Torah, delle Tefillot e dei testi in ebraico che il popolo di Israele è sopravvissuto fino ad oggi.

prof.ssa Luisa Basevi

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